Essere Maria Antonietta

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” Aveva gli occhi non belli, ma capaci di assumere qualunque espressione […]; non sono del tutto sicuro che il naso fosse quello giusto per il suo viso. La bocca era decisamente sgradevole, il labbro […] è stato citato come tratto nobile e distintivo della sua fisionomia, ma sarebbe potuto servire solo per rappresentare la collera e l’ indignazione e non era questa l’ espressione abituale della sua bellezza; il petto era un po’ troppo piatto, e il busto sarebbe potuto essere più elegante; mani e braccia così belle non ne ho più viste.”.

[Alexandre De Tilly – Citato in ‘Amanti e Regine’, di Benedetta Craveri]

 

Maria Antonietta venne alla luce il 2 Novembre 1755, figlia della Regina Imperatrice Maria Teresa e dell’ Imperatore Francesco Stefano

L’ imperatrice Maria Teresa affrontò quel quindicesimo parto senza distogliere troppo la sua attenzione dagli affari di stato. Alla nascita della sua ottava figlia, senza contare le tre figlie non sopravvissute, l’ Imperatrice non diede molta importanza al sesso del nascituro, poiché aveva già assicurato una successione al suo trono, oltre ad avere molti altri figli in ottima salute da destinare alle alleanze politiche.
Il giorno successivo alla nascita, il 3 Novembre, la piccola fu battezzata e le vennero imposti i nomi Maria Antonia Josepha Joanna.
Poiché il primo nome Maria era attribuito a tutte le principesse della casa reale d’ Asburgo, la bambina, nella stretta cerchia familiare, sarebbe stata sempre chiamata solo con il secondo nome, Antoine.
Con questo stesso nome, anche una volta divenuta Regina di Francia, la donna avrebbe firmato la sua corrispondenza più intima.
Antoine, particolarmente legata al padre, soffrì moltissimo per la morte dell’ Imperatore, sopraggiunta all’ improvviso, quando la bambina aveva solo nove anni. Questa morte la fece legare ancora più profondamente con la sorella, di pochi anni maggiore, Maria Carolina, con la quale viveva un’ esistenza simbiotica.
La prima giovinezza di Antoine passò senza amore e senza attenzioni da parte dell’ Imperatrice.
Una figura materna Antoine la ritrovò nella contessa di Bandeiss che, incaricata di educare l’ arciduchessa, si accontentava di inculcare nella giovane i principi cattolici e morali, tralasciando la letteratura e la scrittura, per compiacere Antoine che preferiva ben altri passatempi.
Anche una volta divenuta Regina di Francia, Maria Antonietta ricordò per sempre con infinito affetto la Contessa, con la quale rimase in contatto.

“Sono nate per obbedire e devono imparare a farlo per tempo.”.

E’ strano come l’ Imperatrice pretendesse dalle figlie un simile grado di obbedienza quando lei, per prima, fu una ribelle, a modo suo, tanto che non sposò chi le era destinato, bensì combatté per sposare l’ uomo che amava e che amò tutta la vita.
Ciò nonostante, l’ Imperatrice dovette fare i conti con un grande problema politico: oltre ad aver perso altre figlie di malattia, la maggiore era troppo fragile e malata per il matrimonio, e la più bella era sta deturpata dal vaiolo. Questo rimescolava le carte delle alleanze politiche.
Solo alla sua prediletta, Maria Cristina, permise di sposarsi per amore, tenendo la giovane coppia vicina a lei, in una tenuta poco distante quella della famiglia reale, così da poter vedere la sua figlia preferita ogni qual volta le fosse concesso.

Nella tentativo di non perdere le preziose alleanze, Maria Amalia andò sposa a Ferdinando IV Duca di Parma e Maria Carolina fu data in moglie a Ferdinando I Re di Napoli, e successivamente anche di Sicilia.
Nuovamente Antoine si dovette separare da una persona a lei tanto cara, la sorella Carolina. Sempre nel 1768 anche la Contessa di Brandeiss fu sollevata dal suo ruolo di tutrice, e venne sostituita dalla ben più severa contessa Lercheenseld, molto più intelligente, ma anche più severa, tanto da creare in Antoine una vera a propria paura nei confronti delle donne più grandi, fobia che la condizionerà tutta la vita, creandole non pochi problemi alla corte di Versailles.
“Ha preso l’ abitudine di scrivere inconcepibilmente adagio.”.

Fu il commento del suo precettore, l’ abate Mathieu-Jacques de Vermond, una volta che questi giunse da Versailles a Vienna, per istruire l’ ignorante futura Delfina di Francia.

“Se si considera soltanto la grandezza della tua posizione, sei la più felice delle tue sorelle e di tutte le principesse.”.

Dopo anni di trattative, Maria Teresa aveva realizzato una delle sue più grandi imprese, unire la Francia all’ Austria, mediante un matrimonio.
Avendo maritato tutte le figlie disponibili, la scelta cadde per forza sulla giovanissima Antoine, appena tredicenne.
Così, mentre il conte Kherenhuller portava a termine i preparativi per l’ unione tra una figlia d’ Austria e un figlio di Francia, Maria Teresa decise di dedicare del tempo a quella figlia quasi dimenticata, per educarla a divenire una francese, ma con il cuore austriaco.
A chi stava andando in sposa Antoine? Chi era Luigi Augusto, il Delfino di Francia?

La storica Evelyne Lever ci riporta le parole del conte Mercy- Argenteau, ambasciatore dell’ Imperatrice alla Corte di Luigi XV:

 

“La natura sembra aver negato tutto a Monsieur il Delfino. Nel contegno e nel parlare, il principe rivela una limitatissima attitudine al buon senso, grande mediocrità e una totale mancanza di sensibilità.”.

 

Triste e timido, il Delfino sembrava portare pesanti fardelli emotivi: privato fin dall’ infanzia dall’ amore genitoriale, riservato unicamente al primo figlio, che incarnava perfettamente le virtù del Principe Ideale. Divenuto Delfino alla morte di un simile principe, Luigi Augusto si sentì tutta la vita un usurpatore.
La prematura morte di entrambi i genitori, a pochi mesi uno dell’ altro per colpa del vaiolo, lasciò quel bambino nelle mani di un educatore, il Duca di La Vauguyon, dal comportamento castrante e dallo spiccato animo anti austriaco.
E’ facile capire perché simili rivelazioni vennero taciute alla futura sposa.

 

“Addio figlia mia. Ci separerà una grande distanza. Fai tanto bene al popolo di Francia da indurlo a dire che gli abbiamo inviato un angelo.”.

 

Con queste parole di commiato, Maria Teresa disse addio alla giovane figlia. Aveva trascorso con Antoine tre giorni in ritiro, dormendo nella stessa stanza, onde darle una parvenza di affetto materno, forse, prima della separazione definitiva.
Il 21 Aprile 1770, a pochi giorni dalle Nozze celebrate per procura, la nuova Delfina abbandonava la sua Corte natale, partendo alla volta di Strasburgo, dove Maria Antonietta avrebbe incontrato il suo nuovo seguito, abbandonando quello austriaco.
Il 7 maggio Maria Antonietta ed il suo corteo giunsero su un’ isola in mezzo al Reno, dove si sarebbe svolta la cerimonia di consegna, proprio come era accaduto ventitré anni prima con la delfina precedente, Maria Josepha di Sassonia.
Come riporta la storica Antonia Fraser, in Maria Antonietta – La solitudine di una regina, l’ edificio posto sull’ isola di Kehl era crollato molti anni prima, ed era stato, quindi, necessario costruire una struttura in legno per la cerimonia. I cittadini facoltosi di Strasburgo avevano prestato la mobilia e gli arazzi, mentre il palco era stato in prestito dall’ università luterana.
I funzionari, però, non si accorsero che in alcuni arazzi era raffigurata la storia di Giasone e Medea. Riguardo alla storia degli arazzi, si dice che uno studente di Legge dell’ università di Strasburgo, il giovane Goethe, abbia pronunciato:

 

“Ma come! Al momento in cui questa giovane principessa è in procinto di mettere piede nel paese del futuro marito, le si pone davanti agli occhi la rappresentazione delle nozze più orribili che si possano immaginare.”.

 

Certo è che Maria Antonietta, al momento della consegna, ebbe ben altri pensieri, tanto che forse neanche si accorse degli arazzi.
Ancora una volta doveva dire addio a persone a lei care, doveva abbandonare quella terra tanto amato ed entrare a far parte di una corte a lei estranea.
Dovette congedarsi anche dal suo amato carlino, Mops che, grazie al lavoro dell’ ambasciatore Mercy D’ Argenteau, la poté raggiungere a Versailles solo in seguito.
Maria Antonietta affrontò la cerimonia di deaustrificazione spogliandosi, letteralmente, da tutto ciò che apparteneva alla corte straniera, indossando vesti francesi, prima di mettere piede sul suolo della sua nuova patria, come l’ etichetta francese prevedeva.
L’ abbandonare il suo seguito fu sicuramente per lei ben più duro del doversi spogliare nuda di fronte a delle dame estranee, poiché una principessa del XVIII secolo aveva sicuramente un concetto di intimità ben diverso dal nostro, essendo stata svestita e vestita, fin dalla nascita, da altre persone.
Rinata come Delfina, con vesti di foggia francesi, Maria Antonietta andò incontro con al suo nuovo seguito.
Tra questi spiccava la Contessa di Noailles, governante della giovane Delfina. Ella incarnava quella figura femminile che Maria Antonietta temeva, la donna anziana sempre pronta a muoverle delle critiche.
Seguivano poi la Duchessa di Duras, la cui intelligenza avrebbe messo in soggezione la Delfina; la contessa Di Mailly, dolce e saggia ed infine la Duchessa di Picquigny, audace e divertente, la cui designazione era dovuta più al rango che alla virtù, al contrario delle precedenti dame.
Il 14 maggio, infine, Maria Antonietta, nella foresta vicino Compiègne, incontrò il Re Luigi XV, giunto sul posto assieme al Delfino e a tre delle sue quattro figlie nubili.
Qui Maria Antonietta constatò quanto fossero stati menzogneri i ritratti che le erano stati inviati.
Il Delfino, infatti, appariva come un giovane già appesantito, nonostante non avesse ancora compiuto sedici anni, dalle palpebre pesanti e dall’ aria perennemente imbarazzata.

Le reali zie, di trentotto, trentasette e trentasei anni rispettivamente, vennero descritte, in maniera accurata, in un aneddoto dello scrittore Horace Walpole, come delle vecchie donzelle, goffe e grassocce.
Da quello che ci viene riportato sappiamo che la maggiore , e la più intelligente, era Madame Adélaide, soprannominata Cencio, per via di quel fascino giovanile andando completamente perso con l’ età; Madame Victoire , per niente brutta, era talmente grassa da essere stata chiamata, spesso e volentieri, Trippona da suo padre il Re; ed infine Madame Sophie, il Bruco, per via di quel suo strano modo di tenere la testa sempre piegata da un lato.
Furono queste tre donne, inviperite zitelle, a mettere in guardia il nipote Luigi Augusto, molto affezionato alle zie, nei confronti dell’ Autrichienne, l’ Austriaca.
Luigi XV, al contrario delle figlie, rimase incantato dalla sua nuova nuora, provando verso di questa un enorme affetto fin da subito.
Il Re, oltre a consegnarle i gioielli che spettavano alla delfina, la ricoprì di doni, entusiasta di quella giovane nipote che aveva accolto alla sua corte.

Il 16 Maggio 1770, nella cappella reale di Versailles, furono celebrate le nozze tra il Delfino e la Delfina.
Era un’ altra, però, la cerimonia che la corte aspettava con ansia, quella rituale della messa a letto della giovane coppia, che, presumibilmente, avrebbe dovuto consumare l’ unione, rendendo così valido il matrimonio, oltre che per fini procreativi.
Purtroppo questo non accadde, se non molti anni dopo.
A Versailles, dove tutti sapevano tutto, si sparse subito la voce che il matrimonio non era stato consumato. Non vi fu tuttavia una gran sorpresa, erano giovani entrambi e si conoscevano da pochi giorni. Gli stessi genitori del Delfino avevano impiegato sei mesi, prima di riuscire a consumare le nozze, quindi, subito nessuno fece pressioni, lasciando anche che la Delfina si abituasse a tutti quei cambiamenti e alla rigida etichetta di corte.
La giornata dei sovrani era scandita da numerose cerimonie, tra cui la vestizione rituale della mattina, la toilette ufficiale, a cui assistevano tutti gli ‘aventi diritto’, e la svestizione rituale della sera.
Il privilegio di entrata era un segno di prestigio personale a cui nessuno avrebbe rinunciato.

Anche i pasti erano consumati di fronte ad una platea di spettatori. Chiunque aveva il diritto di entrare nella reggia, purché vestito elegantemente, ed osservare i membri della famiglia reale durante i pasti.
Luigi Augusto, abituato da sempre ad una simile usanza, era solito mangiare abbondantemente e con gusto, mentre Maria Antonietta non toccava quasi cibo in pubblico.

“Alle undici mi faccio acconciare i capelli. A mezzogiorno possono entrare tutti – mi metto il belletto e mi lavo le mani alla presenza di tutti. Poi i gentiluomini si allontanano, mentre le dame si trattengono, e vengo abbigliata in loro presenza.”.

Così scriveva Maria Antonietta alla madre. Per la sua toiletta ufficiale del mattino, la delfina dovette imparare il segno di saluto consono ad ogni persona che si presentava nelle sue stanze.

“A seconda dei casi, era corretto fare un cenno con la testa, inclinare il busto o- gesto più gentile di tutti, adeguato a un principe o a una principessa di sangue- fare l’ atto di alzarsi in realtà rimanendo seduta.”.

[Maria Antonietta, la solitudine di una regina – Antonia Frase, trad. a cura di Joan Peregalli e Claudia Pierrottet]

Il fatto poi che, chiunque ne avesse il diritto, potesse entrare a proprio piacimento, in qualsiasi istante, rendeva la toilletta della Delfina sempre più complicata.

” In una famosa occasione Maria Antonietta si era già svestita e stava per ricevere dalle mani della gran maestra della casa la sua biancheria preparata dalla prima dama di camera. Tutto si stava svolgendo come previsto e la gran maestra della casa si era già tolta il guanto per prendere in mano la camicia. A questo punto giunse una principessa del sangue, la duchessa d’ Orleans […]. La gran maestra della casa, secondo l’ etichetta, tese la camicia alla duchessa, che si accinse a sua volta a togliersi il guanto. Maria Antonietta era ancora nuda. E lo era ancora all’ arrivo di un’ altra principessa, la contessa di Provenza, che come membro reale, aveva la precedenza in questa cerimonia. […] Durante tutto questo tempo, Maria Antonietta era in piedi, con le braccia incrociate sul petto, tremante di freddo. Cercò di nascondere la propria impazienza ridendo, ma non prima di aver mormorato in modo da essere udita: – Questo è pazzesco! Questo è ridicolo!”.

[Maria Antonietta, la solitudine di una regina – Antonia Frase, trad. a cura di Joan Peregalli e Claudia Pierrottet]

 

Costretta tra un’ etichetta severissima, il cui cerimoniale comprendeva sempre troppe persone, ed un matrimonio per niente appagante, Maria Antonietta fu ben contenta di ricevere, all’ inizio, l’ approvazione e l’ amore dei francesi.

 

“Ogni giorno prendo coscienza di quanto abbia fatto la mia cara madre per darmi una sistemazione.”.

 

Scriveva Maria Antonietta all’ Imperatrice Maria Teresa, dimenticando la freddezza del Delfino nei suoi confronti, l’ ostilità delle dame più anziane, le lotte intestine di corte, l’ insopportabile etichetta ed i maligni commenti dei cortigiani sulle sue nozze non ancora consumate.
Ella godeva nel sentirsi amata dal popolo francese, che l’ acclamava in ogni occasione pubblica, come quando si recava all’ Opéra e veniva accolta dai calorosi applausi dei presenti; o quando in carrozza, attraversando le strade di Parigi, veniva chiamata a gran voce dai francesi, che le dimostravano costantemente il loro amore.

L’ imperatrice inviava lettere piene di rimprovero e giudizi nei riguardi della figlia, che non si rendeva attiva con una maggior dose di carezze per incentivare il Delfino a consumare il matrimonio, ed iniziare a generare eredi, solo così la sua posizione, all’ interno della famiglia reale, sarebbe stata veramente stabile e certa, così come l’ alleanza tra le due nazioni.

 

“Credo di poter confidare a Voi, mia cara Mamma, e soltanto a Voi che le mie faccende hanno preso una buonissima piega da quando siamo arrivati qui e che considero consumato il nostro matrimonio, anche se non al punto di essere incinta. Questo è il solo motivo per il quale il Delfino non desidera che si sappia. Che gioia sarebbe se mettessi al mondo un bambino nel mese di maggio.”.

 

Così scriveva Maria Antonietta alla madre, il 17 luglio 1773. Non era abbastanza, bisognava che i due giacessero assieme tutte le notti, tornava a scriverle l’ Imperatrice, perché solo la nascita di un erede, ovviamente maschio, avrebbe garantito un patto duraturo tra i due paesi, oltre che la posizione della figlia.
Luigi XV, invece, accolse con entusiasmo la notizia, baciando e chiamando Maria Antonietta figlia e non più nipote.
A peggiorare la, già abbastanza delicata, situazione fu la morte del Re il 10 maggio 1774.

 

“Buon Dio, guidaci e proteggici, Siamo troppo giovani per regnare.”.

 

La Delfina, divenuta Regina di Francia aveva ora il dovere di generare eredi. Non si poteva più aspettare.
Quindi, oltre alle alte aspettative del popolo dovute all’ ascesa al trono di un principe giovane e virtuoso, vi era un forte interesse per la vita sessuale della giovane coppia di regnanti, ancora senza figli.
Ad aggravare la situazione fu la nascita dei due figli dei Conti d’ Artois. Benché la prima fosse stata una bambina, il secondo era un maschio, terzo in linea di successione al Trono.

La Francia aveva un erede, ma non era figlio dei sovrani.

 

“State invecchiano e non avete più la scusa della giovinezza. Che ne sarà di voi? Una donna infelice e una principessa ancora più infelice.”.

Erano passati due anni dall’ incoronazione del Re Luigi XVI e il matrimonio languiva ancora, come non smettevano di ricordare sia l’ Imperatore Giuseppe sia l’ imperatrice madre.
Mentre i conti d’ Artois aspettavano il loro terzo figlio, che si sarebbe rivelato essere un secondo e sanissimo maschio, Maria Antonietta si disperava, ed tentava di distrarsi dai suoi dolori divertendosi.
Si dilettava nello scegliere mode azzardate ed acconciature sempre più eccentriche. Amava trascorrere il suo tempo con la sua stretta cerchia di amici, dilettandosi con il gioco d’ azzardo e con suntuose feste e balli.
La sua cara Principessa Lamballe, così pia e virtuosa, divenne presto troppo noiosa per Maria Antonietta, che iniziò a preferirle la Principessa di Guéménée e la Contessa de Polignac.

L’ Imperatore Giuseppe, stanco di aspettare che la sorella o il cognato smuovessero quella situazione di stallo, decise di andare a Versailles, per controllare di persona cosa bloccasse i due dal consumare le nozze e generare eredi.
Il 18 aprile del 1777 giunse a Versailles, venendo calorosamente accolto dalla sorella, che non vedeva da sette anni.
Giuseppe lasciò andare il malumore, e si godette le confidenze della sorella, che si aprì con lui, raccontandogli la sua esistenza, con gioie e disillusioni.

 

“Nel letto coniugale, ha erezioni normali: introduce il membro e rimane dentro senza muoversi per circa due minuti, poi lo ritrae senza eiaculare, e, ancora in erezione, augura la buonanotte. […] E’ soddisfatto, e afferma […] che lo faceva semplicemente per un senso del dovere e che non gli piace. Oh, se solo avessi potuto essere presente una volta, mi sarei occupato di lui: dovrebbe essere frustato, così butterebbe sperma come un asino. Inoltre, mia sorella ha poco carattere e insieme sono due totali sprovveduti.”.

 

Fu in una lettera al fratello Leopoldo che l’ Imperatore Giuseppe rivelò il segreto del letto reale.
Attraverso questo scritto, composto nel rozzo francese dell’ Imperatore, si può comprendere la gravità del problema coniugale.
Dopo queste parole è facile comprendere come mai Maria Antonietta preferisse passare le sue notte lontana dal marito, prediligendo i divertimenti della sua cerchia di fedelissimi.
Con il suo arrivo Giuseppe sbloccò la situazione, dando consigli al cognato e alla sorella, ed a quest’ ultima lasciò un elenco di raccomandazioni, prima di ripartire, ricordandole di stare lontana dal gioco d’ azzardo, di farsi una cultura, invece di leggere romanzi di amori impossibili, e di guardarsi da coloro che la circondavano, soprattutto i membri appartenenti alla sua corte privata.

 

“Sono già trascorsi più di otto giorni da quando il mio matrimonio è stato perfettamente consumato. L’ evento si è ripetuto e proprio ieri in maniera più completa della prima volta. Non credo di essere già incinta, ma ho la speranza di poterlo restare in qualsiasi momento.”.

Nonostante la bella notizia, tuttavia, i due non divennero mai una coppia di amanti affiatati.
Maria Antonietta non faceva mistero della propria refrattarietà a giacere con un marito tanto maldestro, e la timidezza di Re non aiutava.
Alla fine, dopo anni di incertezza, la Regina rimase incinta.

La gravidanza trascorse serena, e durante questa Maria Antonietta riscoprì la gioia.
Le doglie ebbero inizio la mattina presto del 19 dicembre 1778.
Nelle stanze private di Maria Antonietta, oltre ad i medici, all’ ostetrico e alle levatrici, erano accorsi tutti i nobili della Corte, quelli aventi diritto di entrata.
Anche Luigi XVI assistette al parto della moglie, facendosi carico di piccole accortezze, come il rendere più salde le tende del baldacchino della regina, onde evitare che le potessero crollare addosso.
Il bambino venne alle luce poco prima di mezzogiorno. Era una femmina.

 

“Povera bambina, non sei ciò che tutti desideravano, ma non mi sei meno cara per questo. Un maschio sarebbe stato proprietà dello stato. Tu sarai solo mio, avrai le mie cure, condividerai tutte le mie gioie e allevierai le mie pene.”.

 

Queste sono le prime parole che, secondo la testimonianza di Madame Campan, direttrice di Camera della Regina, Maria Antonietta rivolse a sua figlia, la Madame Royale.
Oltre a rifiutare la balia, Maria Antonietta si arrogò il diritto, secondo la scrittrice Benedetta Craveri, nel suo libro Amanti e Regine, di scegliere il marito della Madame Royale. La scelta cadde sul Duca d’ Angouleme, primogenito del duca d’ Artois.
Maria Antonietta presa questa decisione per non sottoporre la figlia al calvario che era invece toccato a lei. Sua figlia non avrebbe dovuto abbandonare la sua patria, i suoi affetti e tutto ciò che le era caro, per imparare una nuova etichetta, in terra straniera, senza un volto amico ad accoglierla. In pratica, le stava risparmiando il dolore che la madre aveva provato in precedenza.

Nonostante la sua immensa felicità, per la nascita di una bambina robusta e sana, Maria Antonietta sapeva che la sua posizione era ancora precaria, e che , per via della legge salica, era necessaria la nascita di un erede maschio.
A causa di un aborto spontaneo, a pochi mesi dalla precedente gravidanza, si dovette aspettare il 1781 per una nuova nascita reale.Questa volta, grazie a delle modifiche apportate al protocollo del parto, da parte del Re, Maria Antonietta non dovette subire un parto pubblico, evitando così le complicanze del primo travaglio.
Ad assisterla vi erano, oltre ai medici e alle levatrici, solo i membri della famiglia reale, qualche dama della Regina e il Lord Cancelliere.

 

“- Vedete che mi sto comportando bene- avrebbe detto – Non vi chiedo nulla.-.
A questo punto il Re avrebbe ritenuto che era tempo di toglierla dall’ angoscia. Tenendo in braccio il bambino, con le lacrime agli occhi, avrebbe detto alla moglie: -Monsieur le Dauphin chiede udienza.-.”.

 

[Maria Antonietta, la solitudine di una regina – Antonia Frase, trad. a cura di Joan Peregalli e Claudia Pierrottet]

 

Il Re aveva un erede!

Il giubilo fu incontrollabile, e la notizia giunse ben presto da Versailles a Parigi.
Per tre giorni la capitale fu illuminata a spese del Re, ed ogni angolo di strada veniva offerto vino per festeggiare la nascita del Delfino di Francia.
Al contrario della Madame Royale, Maria Antonietta non poté allattare il Delfino, che fu prontamente affidato alle cura di una robusta balia, Madame Poitrine.

Finalmente, dopo quasi undici anni di incertezze, Maria Antonietta aveva assolto al suo compito di Regina, generare un erede al trono.

La maternità la cambiò profondamente. Il suo tempo non era più occupato dalle feste e dal gioco, né si faceva più agghindare i capelli in assurde creazioni del suo parrucchiere Leonard. Preferiva, invece, trascorrere il suo tempo con i propri figli, nel piccolo mondo idilliaco del Petit Trianon, da lei fatto ristrutturare e migliorare. Qui Maria Antonietta sfuggiva dalla vicina Versailles, scappando dall’ etichetta e dai cortigiani, riparandosi in un mondo bucolico e a lei più congeniale.
Il Petit Trianon era, a dire di Maria Antonietta stessa, il luogo dove non era Regina, ma solo una donna.
La cagionevole salute del Delfino, evidente fin dai primi mesi di vita, costrinse il Re e la Regina a continuare la vita coniugale, ricercando un secondo erede maschio, per salvaguardare la successione del ramo principale della casata.

L’ impegno si risolse una nuova gravidanza, nel 1783, che però si concluse con un aborto, a seguito del quale Maria Antonietta dovette stare a letto dieci giorni prima di iniziare a rimettersi.
A seguito di un’ altra gravidanza, la domenica di Pasqua, il 27 marzo, del 1785 Maria Antonietta diede alla luce un terzo figlio, il suo secondo maschio, il quale venne accolto dalla duchessa de Polignac, da poco divenuta Governante reale.
Complice la giornata di feste e le doglie iniziate di mattina presto, Maria Antonietta partorì alla presenza di pochissimi questa volta.

Il nascituro fu battezzato mezz’ ora dopo la nascita con il nome di Luigi Carlo.
Proprio come la Madame Royale, il piccolo godeva di ottima salute ed aveva una corporatura sana e robusta, al contrario del Delfino.
Il 9 luglio dell’ anno seguente venne al mondo la quarta, ed ultima, figlia della coppia reale.
La bambina venne battezzata con il nome di Maria Sofia Elena.
A causa dello scandalo della collana, conclusosi da pochissimo tempo con un processo farsa, la regina aveva iniziato anticipatamente il travaglio, e la bambina nata prematura era estremamente piccola e fragile oltre che, a dire delle levatrici, incompleta.
Maria Sofia morì il 19 giugno del 1787, probabilmente a causa della tubercolosi che aveva compromesso i polmoni.
La morte della figlia fu un trauma tremendo per la regina, la quale sprofondò nella disperazione.

 

“Ha il corpo deformato, con una spalla più alta dell’ altra, e la schiena con le vertebre leggermente fuori squadra e sporgenti. Da un po’ di tempo soffre di febbri continue e di conseguenza è molto magro e debole.”.

 

Maria Antonietta descrisse in questo modo, all’ Imperatore Giuseppe, lo stato di salute in cui verteva il Delfino
Da madre ella si aggrappava alla speranza di guarigione, ma da Regina sapeva bene che presto il Delfino sarebbe stato Lugi Carlo, consolandosi, forse, di aver generato un secondo figlio sano e robusto.
Illudendosi che un periodo di riposo avrebbe giovato al malato figlio, il Delfino fu mandato nel poco distante Castello di Meudon, sua residenza.
Il 4 giugno 1789, dopo l’ ennesima febbre, il Delfino morì facendo rivivere il medesimo dolore provato per la perdita della figlia più piccola.
Mentre il re e la regina si stringevano nella afflizione, il fuoco della Rivoluzione lambiva la Monarchia e la famiglia reale.

Volendo tralasciare la politica e concentrarsi solo sulla figura della sovrana, c’è da chiedersi se ella amò mai suo marito.
Probabilmente no, soprattutto all’ inizio del loro matrimonio. La delusione del primo incontro deve aver messo un bel po’ a scemare nel cuore di una tredicenne.
E subito dopo essere divenuta Regina di Francia, in una lettera alla madre, Maria Antonietta menzionò Re Luigi XVI con i termini quel pover’ uomo, mandando su tutte le furie l’ Imperatrice, che non si trattenne dal riprendere e mortificare nuovamente la figlia, ricordandole il suo posto di consorte del Re.
Forse, però, nel dolore della perdita dei due figli e nella paura della prigionia, Maria Antonietta apprezzò maggiormente il marito, volendogli bene e magari amandolo.
Sembra certo, invece, che amò il Conte Hans Axel Fersen.

 

“Non posso stare con l’ unica persona che desidero, l’ unica persona che mi ama veramente, perciò non voglio stare con nessuno.”.

 

Da questa lettera che Fersen scrisse all’ amata sorella Sophie Piper, pare proprio che il conte si stia riferendo alla Regina di Francia, con la quale ebbe una relazione, durata diversi anni, anche mentre questi si trovava a combattere in America.
Su questa coppia clandestina sono state fatte tantissime ipotesi, più o meno realistiche, ma avendo Fersen distrutto quasi tutta la sua corrispondenza privata, ben poco rimane per poter scoprire la verità.

Possiamo tuttavia augurarci che si amarono, godendo l’ uno dell’ altra, così che anche Maria Antonietta possa aver conosciuto l’ amore e la passione, quei sentimenti che colmavano le sue letture.

Mi auguro che abbia trascorso momenti lieti con il suo Fersen, e che quei ricordi le abbiano lasciato un sorriso sulle labbra mentre si avviava verso il patibolo.

Al contrario della Du Barry, che alla vista della ghigliottina iniziò a piangere e a supplicare per avere la vita salva, Maria Antonietta si mostrò serena e composta, andando con fierezza incontro alla morte, senza mai vacillare.

 

 

8 pensieri su “Essere Maria Antonietta

  1. di questi aspetti avevo già letto altrove ma la tua ricostruzione semplice con riferimenti e precisazioni rende Maria Antonietta più umana rispetto al cliché che la storia le ha appiccicato. Mi sembra d’aver letto, tempo fa, che la regina avrebbe potuto salvarsi ma abbia preferito affrontare il patibolo col re. Comunque è stata una donna molto diversa da quelle della sua epoca.

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    • Avrebbe potuto salvarsi, è vero, ma preferí restare al posto che apparteneva alla regina, cioè come hai specificato tu, accanto al Re. Maria Antonietta pagò a caro prezzo la scelta del marito di non avere amanti. Sulle amanti del re ricadeva l’odio dei cortigiani e del popolo, solitamente, come accadde anche alla du Barry. La scelta di non avere amanti spostò l’asse dell’odio sulla straniera. Insomma, una realtà che ancora adesso sopravvive, chi è diverso merita odio.
      Non mi è mai piaciuto il modo frettoloso con cui Maria Antonietta veniva dipinta dalla storia, e così ho pensato di approfondire e capire di più. Fu una donna infelice, bistratta e con una vita costellata di dolore. Si sarà goduta dei lussi, ma chi non lo avrebbe fatto nella sua posizione?
      Come sempre, ti ringrazio della tua attenzione nei confronti dei miei scritti.

      Mara

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      • Non c’è mai niente di nuovo. Basta leggere la storia con attenzione. I dicersi hanno tutte le colpe e come tali vanno odiati.
        In effetti la vita di Maria Antonietta fu davvero triste e infelice.
        Mi piace leggere quello che scrivi.

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    • Ti ringrazio e sono felice che ti sia piaciuto.
      Come detto nel commento precedente, ho sempre trovata frettolosa la descrizione di Maria Antonietta, priva di umanità, come se essere regina distruggesse il suo essere umano, donna, madre ed amante.
      Grazie ancora

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  2. […] Al contrario di M.me de Pompadour alla Du Barry la politica non interessava, e non interferì mai con gli affari di stato del Re, cosa per la quale Luigi XV le fu molto grato. La corte, oltre a rinfacciare continuamente all’Ange la sua estrazione e la sua precedente professione, osservava con orrore il capitale che il re elargiva alla nuova favorita, cosa molto insolita per il sovrano che non era mai stato particolarmente generoso con le sue amanti in passato. Grazie alle ingenti somme che il re le aveva donato, la Du Barry diede il via ad un impulso di stile, noto come il ‘Du Barry‘, una moda nata dall’incontro della corte con la vita quotidiana. Portò innovazioni anche nella moda, puntando sulla semplicità, grazie alla sua bellezza naturale, abolendo ogni forma di trucco e di belletto, i capelli posticci, i vestiti con stecche e troppo pomposi, preferendo abiti dai tagli semplici che esaltavano le naturali curve del corpo. Amante delle arti fu di sostegno per architetti, scultori, pittori ed artigiani di lusso, incoraggiando l’estro e l’ispirazione. Il 5 maggio 1774 M.me du Barry, su ordine del Re, ormai morente, abbandonò per sempre Versailles. Una settimana dopo, il nuovo re, Luigi XVI confinava la Du Barry all’interno del monastero di Pont-aux-Danes. Tale scelta, si può ben immaginare, fu mossa dall’intromissione della regina, Maria Antonietta. […]

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