Artemisia Gentileschi, la violenza nell’ arte.

susanna e i vecchioniGiuditta

Artemisia Gentileschi nacque a Roma, nel 1593, da Prudenza Montone e Orazio Gentileschi.

Sin dalla più tenera età, Artemisia fu iniziata alla pittura dal padre, pittore seguace della tecnica caravaggesca.

“E’ qui la forza dei quadri della Gentileschi: nel capovolgimento brusco dei ruoli. Una nuova ideologia vi si sovrappone, che noi moderni leggiamo chiaramente: la rivendicazione femminile.”.

                                                                                               [Roland Bartles]

Artemisia Gentileschi è stata riscoperta, come artista, solo agli inizi del 900, grazie all’ opera dello storico dell’ Arte Roberto Longhi. Per oltre tre secoli la figura dell’ artista era stata messa in ombra dalla vicenda che segnò, in maniera profonda, sia la vita privata della donna, sia la sua memoria futura: lo stupro subito da Agostino Tassi, collega ed amico del padre della giovane.

Nel 1612 Orazio Gentileschi rivolse al Papa Paolo V Borghese una supplica, per ottenere giustizia, accusando il Tassi di aver “forzatamente sverginata et carnalmente conosciuta più et più volte” la figlia Artemisia. Lo stuprum era avvenuto nel Maggio del 1611, circa dieci mesi prima della scrittura dell’ istanza indirizzata al Santo Padre. Il tempo intercorso, tra la violenza e la denuncia, pare inspiegabile, se decontestualizzato dalle regole che vigevano agli inizi del 1600. Il Tassi, per rimediare alla sua colpa e restituire l’ onorabilità alla famiglia Gentileschi, avrebbe dovuto sposare Artemisia, ma essendo egli già sposato, aveva bisogno di tempo per trovare una soluzione consona alla vicenda.

“Veggasi che Agostino non ha voluto sposare Artemitia conforme alla promessa”

                                                                                                             [Atti processuali]

Dunque, Orazio Gentileschi intenta causa al Tassi, non tanto per lo stupro della figlia, ma, soprattutto, per la mancanza della parola datagli, cioè quella di ridare onorabilità al suo nome.

Il primo atto di investigazione, da parte del Governatore di Roma, fu l’ interrogatorio di Artemisia.

“…Io sentivo che m’ incendeva forte e mi faceva gran male che io per l’ impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare, pure cercavo di strillare meglio che potevo chiamando Tutia e gli sgraffignai il viso e gli strappai li capelli et avanti che lo metesse dentro anco gli detti una matta stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne. Con tutto ciò lui non stimò niente e continuò a fare il fatto suo.”.

                                                                                                             [Atti processuali]

La vivida descrizione di Artemisia, per quanto riguardo il suo stupro, è finalizzata non al provare di essere stata vittima, ma di aver tentato in ogni modo di difendere la sua verginità, poichè secondo gli Statuti di Roma del 1580, lo stupro era indissolubilmente legato alla verginità della vittima di tale atto.

Orazio Gentileschi basò la sua accusa, quindi, non tanto sulla violenza subita dalla figlia, ma sulla promessa di matrimonio non mantenuta e sull’ offesa arrecatagli dall’ amico, spesso ospite della sua casa.

Agostino, da parte sua, basò la sua difesa, non tanto sul negare l’ atto di possessione, ma sullo screditare l’ onorabilità della giovane, diffamandola e sostenendo che non vi fosse stato alcun stuprum, essendo la fanciulla già stata deflorata in precedenza, da uno dei numerosi uomini che erano soliti frequentare la casa.

Per fugare ogni dubbio sull’ onorabilità della giovane, Artemisia fu torturata, così da mettere alla prova le sue parole. Venne così sottoposta alla Sibilla, per dare così credibilità alla sua deposizione. Fu interrogata per l’ ennesima volta, mentre le dita le venivano strozzate e profondamente escoriate dalle corde avvolte attorno ad ogni singolo dito, sino al sanguinamento degli arti.

Tassi tentò in ogni modo di dimostrare la disonestà della donna, facendo intervenire testimoni, i quali narravano dei diversi uomini fatti introdurre da Artemisia nella sa stanza. Allo stesso modo, il Gentileschi produsse testimonianze in senso contrario, per provare che la sua casa era frequentata solo dai parenti o tutt’ al più dai modelli per i quadri, solo quando lo stesso pittore era a casa.

Il Tassi venne infine condannato all’ esilio, pena che non scontò mai, essendo strettamente legato alla famiglia Borghese, per la quale aveva dei lavori in corso da terminare.

La colpevolezza, riconosciuta al Tassi, però non potè certo essere una grande consolazione per Artemisia, la cui onorabilità era ancora compromessa.

Nonostante la sua travagliata e sofferta vita personale, la Gentileschi divenne una pittrice eccelsa, prima donna ad essere ammessa all’ Accademia delle Arti del Disegno, nel 1616 a Firenze.

Artemisia, grazie alla sua arte, fu una donna indipendente, soprattutto sul piano economico, al punto di poter abbandonare il marito, in maniera definitiva, e di crescere da sola i suoi figli, divenendo così una figura simbolo del femminismo e del desiderio di emancipazione dal potere maschile.

Con il saggio di Roberto Longhi, “Gentileschi padre e figlia”, si segnò il riconoscimento internazionale di Artemisia, oscurata, sino ad allora, dalla figura paterna.

Artemisia fu l’ unica donna in Italia” scrive il Longhi “che abbia saputo cosa sia la pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità. […] La Gentileschi plasma il suo stile aggressivo agendo liberamente sui principali orientamenti epocali- in primis il caravaggismo- per adattarli alle sue personali inclinazioni con un virtuosismo che non ha eguali tra i suoi contemporanei. Il suo successo fu, oltre che immediato, di altissimo prestigio; seppe costruire con abilità la propria carriera raggiungendo un riconoscimento senza precedenti nell’ ambito della pittura al femminile.”.

[Roberto Longhi]

Con il suo saggio, Roberto Longhi considera Artemisia Gentileschi la fondatrice del “primitivismo caravaggesco” a Napoli, ma soprattutto analizza la figura di Artemisia come artista, prima ancora che come donna, esaltandone le opere e svincolandola dalla pesante ombra di Orazio.

Per la studiosa Evelina Borea i quadri della Gentileschi sono incentrati sempre su “immagini femminili indimenticabili per la fierezza e spesso la ferocia.”.

Anche Mary Gerrand, considerata la maggiore studiosa delle opere della Gentileschi, ha evidenziato le protagoniste dei dipinti di Artemisia: Cleopatra, Susanna, Giuditta, Lucrezia, l’ Allegoria della Pittura tutte figure che incarnano il diritto della donna di potersi affermare all’ interno della società, non solo come donne, ma proprio come Artemisia, come persone scisse dal proprio sesso.

La Gerrand, limitandosi allo studio di due opere della pittrice, cioè la “Maddalena come Melanconia”, conservata nella cattedrale di Marsiglia, e la “Susanna ed i vecchioni”, appartenente alla collezione Burghley House, constata che Artemisia si trovò di fronte ad una scelta, durante la sua vita artistica: da una parte la necessità di adeguarsi alle richieste del mercato, dall’ altra parte il desiderio irrefrenabile di mostrare la sua personalità.

Richard Ward Bissell tracciò, della Gentileschi, un affresco vivido, basato sul binomio donna-artista, emblema del femminismo e dell’ emancipazione.

Studi più recenti, come quelli di Judith Mann, mettono a confronto le opere di Artemisia con quelle del padre. Da questo paragone, la studiosa sostiene che l’ influenza di Caravaggio, sulla Gentileschi, sia meno rilevante di quanto, invece, è sempre stato ritenuto. Per la Mann, infatti, la componente caravaggesca, nelle opere dell’ artista, deriva più dall’ impronta di Orazio che da una visione diretta delle opere di Caravaggio.

La vita e le opere della Gentileschi crearono un alone di fascino tale che divennero presto non solo oggetti di saggi e speculazioni artistiche, ma anche di romanzi, scritti da donne capaci di narrare la dolcezza, le sofferenze, le fragilità ed il desiderio di libertà di Artemisia.

Ne “La passione di Artemisia”, di Susan Vreeland, Artemisia è descritta come una donna determinata a riuscire ad essere un’ artista, al pari degli uomini, andando contro ad un mondo misogino e maschilista. Nella narrazione l’ autrice affronta lo stupro subito dalla donna, il processo pubblico e le umiliazioni derivanti, il matrimonio riparatore con un pittore mediocre, Pietro Stiattesi, e il confronto duro ed onnipresente con la figura di Orazio Gentileschi. Artemisia, quindi, viene a figurarsi, pagina dopo pagina, come una donna caparbia, che riuscì ad imporsi, infrangendo ogni regola sociale dei suoi tempi pur di poter essere ciò che era da sempre: un’ artista.

20 pensieri su “Artemisia Gentileschi, la violenza nell’ arte.

  1. La forza di Artemisia è stata proprio la sua passione. La volontà e la fermezza di essere al pari degli uomini in una disciplina che discriminava proprio le donne. Gli atti del processo oltretutto ci tramandano quella sua fermezza, al pari delle sue opere che sin dal primo momento hanno una solidità tale da staccarsi già con vigore da quelle del padre. Qualche anno fa c’è stata una bella mostra alle Scuderie del Quirinale dove era inevitabile non riconoscere una grande artista (sulla scia dell’inuizione di Longhi) purtroppo per molto tempo bistrattata, o associata esclusivamente a quella sua denuncia (episodio ugualmente di grande ‘modernità’ e forza). Per completare il tuo attento e preciso post un altro libro da citare, una biografia in forma di romanzo è quella di Anna Banti (se non erro , compagna di Longhi)

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  2. Dopo un lungo periodo di silenzio sei tronata tra noi. Ben tornata per leggere i tuoi sempre interessanti post, ricchi di informazione e sempre illuminanti.
    La gentileschi, che ho potuto ammirare dal vivo è stata un grandissima pittrice, eccletica e originale nella scelta dei colori e dei soggetti. Tu hai messo in luce più che la bravura dell’artista la sua vita costellata da molte difficoltà, che ha superato attraverso il disegno.
    Complimenti

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  3. Brava, che bel testo, ho visitato di recente il meraviglioso Museo di Capodimonte a Napoli, ‘Giuditta e Oloferne’ è stupefacente. La Reggia di Capodimonte ospita anche ‘La flagellazione di Cristo’ del Caravaggio.
    E’ sempre un piacere leggerti

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  4. Sei davvero incredibile nei tuoi post, questo è un piccolo capolavoro. Non conoscevo nulla di quanto hai scritto – la cultura passa anche attraverso i blog e il tuo ne è un esempio. Brava!

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