“Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perchè si lasciasse vedere; e lei se ne andava schermendo, con quella modestia un pò guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto ed aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’ apriva al sorriso”
[I promessi sposi- Alessandro Manzoni] Continua a leggere
lirica
Lavorare stanca.
Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.
Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale di inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi,
e racconta i progetti di tutta la vita.
Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.
[Lavorare Stanca- Cesare Pavese]
A mia moglie
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? Chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.
[A mia moglie- Umberto Saba]
La Signora delle camelie, tra realtà e lirica.
“Scrissi questa storia esattamente come mi fu raccontata. Essa ha un solo merito, che le sarà forse contestato: quello di essere vera.
La storia di Marguerite è un’ eccezione, ripeto: ma se così non fosse stato, non avrebbe meritato di essere raccontata.”.
[La signora delle Camelie- Alexandre Dumas]
Dolore di cose che ignoro.
Fitta di bianche e di nere radici
di lievito odora e lombrichi,
tagliata dall’acque la terra.
Dolore di cose che ignoro
mi nasce: non basta una morte
se ecco più volte mi pesa
con l’erba, sul cuore, una zolla
[Salvatore Quasimodo]
Le donne elleniche accantonate dal maschilismo del tempo.
Delle donne si tende a sottovalutare la tenacia.
Le si vede come esseri fragili, e invece sono caparbie, sanno sopravvivere, anche se dimenticate per millenni, nascoste nell’ ombra dagli uomini, i quali le hanno, volontariamente o innocentemente, private di essere ricordate dai posteri.
L’ arte, in tutte le sue forme ed eccezioni, è asessuata. Così come la scienza.
Le donne nel mito, parte seconda: Elena, tra colpa e bellezza.
“Il fatto di rapire le donne è considerato un’ azione da uomini disonesti, tuttavia il fatto di darsi pena di vendicare le donne rapite è un’ azione da folli, mentre è da persone sagge non darsi pensiero delle rapite.”
(Storie- Erodoto)
La Bellezza, Charles Baudelaire.
Sono bella, o mortali: una chimera
di pietra! Tutti il mio seno ha estenuato,
ma al poeta un amore ha ispirato
tacito, eterno come la materia.
Ho il trono nell’ azzurro, sfinge oscura,
ho il cuore di neve, del cigno il biancore,
odio il gesto che le linee scompone,
al riso e al pianto estranea è mia natura.
Vedendomi in atteggiamenti fieri
Ispirati a scultorei monumenti,
i poeti si danno a studi austeri.
Per stregare così docili amanti
ho, specchi dove il bello si discerne,
gli occhi, i miei occhi dalle luci eterne.
[La bellezza, XVII, I fiori del male, Charles Baudelaire, trad. Antonio Prete]
L’ ode della gelosia, Saffo.
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
[Traduzione di S.Quasimodo]
I fragili doni di Afrodite, Mimnermo.
Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’ oro?
Meglio morire quando non avrò più cari
Gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,
che di giovinezza sono i fiori effimeri
per gli uomini e le donne. Quando viene la dolorosa
vecchiaia che rende l’ uomo bello simile al brutto,
sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;
nè più s’ allieta guardando la luce del sole;
ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:
tanto grave Zeus volle la vecchiaia.
[Traduzione R.Cantarella] Continua a leggere