“La proibizione dell’ incesto non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia.”.
[Scritture elementari della parentela – C. Lévi-Strauss, trad. a cura di A.M. Cirese e L. Serafini]
L’ antropologo e psicologo Lévi-Strauss parlò del binomio padre-figlia come di un rapporto simbolico, oltre che reale.
E’ proprio su questa combinazione, padre-figlia, che si basa, secondo lo studioso, l’ imposizione sociale dell’ esogamia, dove la donna, in questo caso la figlia, viene data in sposa fuori dalla famiglia. Ed è proprio il matrimonio, o l’ unione in generale, al di fuori della cerchia familiare, che consente di evitare l’ incesto e quindi permette ai gruppi di persone di passare da uno stato di ‘natura‘ a quello di ‘cultura umana‘.
L’ esogamia consente, dunque, di creare un legame con altre famiglie, o clan, potenzialmente nemiche. Lo scambio delle donne, come base per costruire alleanze, fu essenziale in quasi tutte le civiltà, usanza andata in disuso poco più di mezzo secolo fa, in Europa.
L’ incesto, come sottolinea Lévi-Strauss, viene riconosciuto come una proibizione, una legge universale da non infrangere. Questo pensiero è supportato anche da Sigmund Freud, nel suo saggio ‘ L’ orrore per l’ incesto ‘ :
“Quasi dovunque vige il totem, vige la legge per la quale i membri dello stesso totem non devono avere fra di loro rapporti sessuali e quindi non devono contrarre matrimoni. E’ il fenomeno dell’ esogamia, legata al totem.”.
Per Freud il totem, rappresentazione non solo di un animale sacro, ma anche del progenitore del clan e quindi del clan stesso, era strettamente collegato con l’ esogamia.
“Non si abbandona il trasgressore ad un castigo automatico, […] ma è tutta la tribù a punirlo nella maniera più energica, come se si trattasse di allontanare una colpa o un pericolo dai quali tutta la comunità era minacciata.”.
[L’ orrore dell’ incesto, all’ interno di Totem e Tabù – S. Freud, trad. a cura di C. Balducci, C.Galassi e D. Agozzino]
Il totem è ereditario, per via materna o per via paterna, e non subisce variazioni nei vincoli matrimoniali, e le sue leggi sono al di sopra di ogni legame di sangue.
Questo tipo di esogamia basata sul clan lo ritroveremo anche nell’ Antica Roma, dove l’ identità del nome era fondamentale, poiché non era consentito sposare una donna con il medesimo nomen, simbolo di appartenenza alla stessa gens.
“E’ allora alla nuova figura della ‘figlia del padre’ – di solito primogenita, sempre prediletta – che è affidato il compito di ristabilire l’ ordine, dopo aver assunto su di sé ogni colpa, in particolare quella del pericoloso manifestarsi di qualsiasi traccia di sessualità.”.
[Figlie del padre – Maria Serena Sapegno]
Leggendo queste parole è facile immaginare la povera Ifigenia che, come sappiamo dalle parole di Clitemnestra, viene sacrificata ad Artemide, nonostante quella fosse la figlia prediletta di Agamennone.
Ifigenia, oltre ad essere la maggiore delle figlie e la prediletta, è vergine, quindi ella si deve ancora affacciare alla sua sessualità e alla vita futura, che la vorrebbe madre e sposa.
La figura della figlia si contrappone, in maniera speculare, a quella del padre, poiché ella è proprietà del genitore, che può tenerla all’ interno del suo dominio o cederla ad un altro uomo.
Solo una donna sembra sfuggire a qualsiasi dominio, una dea, Atena.
Ella, vergine e guerriera, nata dalla testa del padre Zeus, ne è la preferita , sua degna erede, se non fosse donna. Ma Atena non è considerata totalmente donna, al contrario di Afrodite, poiché la sua verginità la mantiene in un limbo che la fa sfuggire al controllo paterno, senza allontanarla da lui.
Per chiarimenti, riguardanti la figura di Atena, e la sua storia, rimando al saggio dedicato a lei ad altre divinità.
“Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie […]. Quella notte fecero bere del vino a loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse […]. E poi fu la più piccola a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse […]. Così le due figlie di Lot concepirono da loro padre.”.
[Genesi 19,30 – 19,38 – Bibbia di Gerusalemme]
Ricordando gli sforzi fatti da Abramo, nel mito biblico, per mantenere la discendenza all’ interno della propria stirpe, mediante endogamia, l’ incesto perpetrato dalle figlie su Lot non appare poi tanto distante dalla loro logica familiare: l’ alleanza con il loro Dio, stretta in passato da Abramo, era da preservare, nella continuità del sangue.
Perché, però, le figlie sono disposte a giacere con il loro stesso padre? Dovrebbe essere Lot, discendente maschile di Abramo, a doverle possedere in maniera consapevole, pur di mantenere inalterato il lignaggio.
Ciò avviene perché le due figlie, che non meritano, a quanto pare, neanche un nome a distinguerle se non maggiore e minore, non hanno identità se non come mezzi di trasmissione. Esse troveranno la dimensione di appartenenza solo come tramiti, dalla generazione del padre a quella dei loro figli. La loro paura più grande è espressa chiaramente, cioè quella di non far “sussistere una discendenza“, e ciò batte l’ orrore di violentare l’ incosciente padre.
“Secondo Esiodo, Adone era figlio di Fenice e Alfesibea; secondo Paniassi, invece, era il figlio che Tiante, re di Assiria, ebbe da sua figlia Smirna. Afrodite, adirata con Smirna che non le tributava i giusti onori, fece sì che si innamorasse di suo padre; con l’ aiuto della nutrice, la fanciulla dormì per dodici notti insieme a suo padre, senza che questi la riconoscesse. Ma quando si accorse che era sua figlia, estrasse la spada e la inseguì. […] E gli dèi ebbero compassione di Smirna e la tramutarono in quella pianta che si chiama appunto Smiarna. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque […] Adone.”.
[Biblioteca, libro III – Apollodoro, trad. a cura Marina Cavalli]
Mentre le figlie di Lot avevano pianificato di giacere con il padre, tramando tra di loro e divenendo l’ una la complice del’ altra, Smirna non ha colpe, il suo desiderio irrefrenabile è una punizione mandatale da Afrodite che, profondamente adirata con la giovane, decide di punirla con l’ incesto.
“Esita, ma la vecchia la guida per mano e accostandola al grande letto, nel darla al padre, dice : – Prendila, Cinira: questa è tua- ; e fece unire i due corpi nella dannazione.”.
[Metamorfosi, libro X, vv. 461-64 – Ovidio, trad. a cura di M. Carlesi]
Attraverso Ovidio conosciamo i pensieri della latina Mirra, la quale si tormenta, pregando gli dei e gli avi, affinché qualcuno la fermi. Vedendo che le sue suppliche non sono ascoltate, decide di uccidersi, ma la vecchia nutrice ferma la sua pupilla e, invece di salvarla, l’ accompagna nel baratro, accontentandone l’ insano desiderio.
Mirra, con la sua intima riflessione, anche mentre cammina verso il letto paterno, è contesa tra iura, che permettono di capire cosa sia lecito, e natura.
“Quel bambino, generato dalla sorella e da suo nonno […]
ormai è un giovane, un uomo, che già supera se stesso in bellezza
che incanta persino Venere e in lei vendica la passione materna.
[…] Sedotta dalla bellezza di Adone, delle spiagge di Citera
non le importa più nulla, ignora Pafo cinta dal mare profondo,
la pescosa Cnido e Amafunte piena di metalli;
[…] Gli sta accanto, l’ accompagna ovunque.”.
[Metamorfosi, libro X – Ovidio, traduzione a cura di M.Carlesi]
Al contrario del mito greco, ove era stata Afrodite ad instillare in Smirna la passione per il padre, la Venere ovidiana è estranea ai fatti, inizialmente, anche se Ovidio con il verso ‘in lei vendica la passione materna‘ fa un chiaro riferimento al mito originario.
Venere entra a far parte della storia ovidiana a causa del figlio, Cupido, il quale, per mero errore, graffia con una delle sue frecce la madre facendola innamorare di Adone.
“Monito è Biblide a voi, fanciulle: amate solo chi è lecito amare.
Biblide, travolta dalla passione per l’ apollineo fratello,
l’ amò non come una sorella, ma come non avrebbe dovuto.”.
[Metamorfosi, libro IX, vv. 455-58 – Ovidio, trad. a cura di M. Carlesi]
Ovidio, non pago, riporta un secondo mito, di chiara matrice incestuosa, quello di Biblide e Cauno. Ella, innamoratasi del fratello, cercò di possederlo e questi, pur di sfuggire all’ assedio amoroso della sorella, si diede alla fuga, ma quella la inseguì per mare e per terra.
Nuovamente il poeta si fa portavoce di un amore tormentato e impossibile, e mette in guardia le fanciulle, possibili lettrici: Biblide è un personaggio negativo, poiché ella ama chi non è lecito amare.
Mentre per Mirra Ovidio non si espone con un giudizio morale, qui per Biblide lo fa, ponendo l’ attenzione sulla donna, affinché le giovani, che leggeranno questa storia, comprendano l’ errore commesso da Biblide.
Parlando di ciò che è o non è lecito fare, è facile che il pensiero corra ad Antigone, colei che, in bilico tra la legge degli uomini e la legge morale, è pronta a sacrificarsi onde non dover “commettere mai empietà verso gli dei.“.
“Elettra: Mostruoso cancellare da te il padre, tua stessa radice, e dar peso a lei, al ventre
materno. Tutto il tuo predicare, è il pensiero di lei, non c’è frase scaturita da te. […]
Oggi potevi portare il nome di lui, dell’ eroe, del padre; invece porta pure quell’
altro, di lei, della madre. […] Snaturata con il padre e con quelli del sangue.”.
[Elettra – Sofocle, trad. a cura di M. Carlesi]
L’ Elettra sofoclea è mossa dall’ odio verso la madre, rappresentato da quel ventre materno che ella palesemente e a gran voce disprezza, più che dal dolore. Il suo sdegno nei confronti di Clitemnestra è inversamente proporzionale all’ amore che nutre per Agamennone, l’ eroe.
Per alcuni chiarimenti sulla tragedia di Elettra rimando al saggio dedicatole, sottolineando, però, in questa sede, il morboso rapporto della giovane nei confronti del padre, quasi un incesto mentale consumato con le parole, e con il gesto stesso di istigare Oreste ad uccidere Clitemnestra.
La morte di Agamennone è per Elettra “misera e turpe“, ed ella pare sconvolta dal dolore dell’ essere stata privata del proprio padre, quasi dimentica di come sua sorella, Ifigenia, sia stata prima ingannata e poi sacrificata per mano di quello stesso eroe.
Carl Gustav Jung definì, attraverso questa tragedia, il complesso di Elettra, sulla falsa riga del complesso edipico freudiano.
Il complesso di Elettra è definito come il desiderio, da parte della bambina, di possedere l’ organo maschile e dalla competizione che questa instaura con la madre, per la possessione del padre.
L’ odio di Elettra per Clitemnestra fu interpretato, da Jung, come sfogo della frustrazione provata dalla figlia nell’ essere stata creata dalla madre senza il pene.
“Zeus sposò Era, e con lei ebbe i figli Ebe, Ilizia e Ares.”.
[Biblioteca, libro I,3 – Apollodoro, trad. a cura di M. Cavalli]
Il matrimonio tra fratelli, nel caso di Era e Zeus si parla di nozze sacre, non era poi un evento così raro, o così mitologico, come ci ricorda Diodoro Siculo, anche se non con poche inesattezze:
“Si dice che gli egizi, contrariamente a quanto si usa fare, avessero stabilito una legge che permetteva all’ uomo di sposare la sorella, seguendo l’ esempio di Iside che aveva sposare Osiride, suo fratello […].”.
Era d’ uso, nell’ epoca tolemaica, che la corte greca di Alessandria celebrasse i matrimoni reali tra sorelle e fratelli, onde non perdere la purezza della dinastia. Un esempio famosissimo è quello di Cleopatra e del di lei fratello, oltre che sposo, Tolomeo XIII.
Spesso queste unioni, secondo l’ egittologo francese Christian Jacq, erano incestuose solo di nome, poiché il matrimonio tra sorella e fratello ,o tra figlia e padre, era più di valore simbolico e rituale, piuttosto che carnale.
Il mito, i racconti, e forse la nostra stessa storia, sono permeati dalle allusioni incestuose, usate come spauracchio, quasi come a voler esorcizzare questo tabù, scoprendolo e narrandolo mediante personaggi inventati : Edipo e Giocasta peccano, loro vengono puniti, gli spettatori purificati. La grandezza del teatro greco.
Solo grazie al ripudio dell’ incesto, ripete frequentemente Freud nel suo saggio, l’ uomo è potuto passare da una condizione arcaica ad una prima forma di civiltà, reprimendo l’ istinto primordiale dell’ accoppiarsi liberamente.
Perché, dunque, se l’ essere umano aveva un siffatto ‘orrore’ per l’ incesto, furono create così tante storie riguardanti ciò? Forse era in un impulso non del tutto domato?
Sta di fatto, però, che l’ incesto non terminò unicamente grazie al totem, come invece sosteneva Freud, bensì è più facile credere che l’ esogamia nacque nel momento in cui l’ essere umano si rese conto che la sua sopravvivenza dipendeva dalla prole, e che solo una prole sana avrebbe potuto tramandare la stirpe. Quando le tribù si accorsero che i figli nati all’ interno del medesimo clan portavano tare genetiche, menomazioni fisiche o morivano in tenerissima età, solo allora l’ incesto divenne un tabù, ma non per via della morale, bensì per la sopravvivenza della specie; forse per questo motivo era severamente punito, chi si macchiava di incesto metteva a repentaglio il futuro del clan, e, in maniera poi più estesa, dell’ umanità che si affacciava sulla terra.
Non potendolo più praticare, gli uomini iniziarono a raccontarlo, sia come monito per le generazioni future, sia come metodo per soddisfare un desiderio ancestrale, senza violare un tabù altrettanto antico.
molto interessante è questo saggio sull’incesto sia per le motivazioni storiche sia per evitare la fine del proprio clan. Ricco di informazioni e ben strutturato conduce al punto finale: non una questione morale ma bensì un mero calcolo di sopravvivenza.
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Ti ringrazio di seguire sempre con interesse i miei scritti. Credo proprio che l’uomo abbia tenuto ben di più l’estinzione alla morale, come è anche giusto che sia, altrimenti non saremmo qui.
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in un certo senso è l’istinto della conservazione
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Mentre leggevo anticipavo la chiusa del saggio.
Certi racconti di mia madre a proposito di legami matrimoniali tra cugini di primo grado e di come qui, in Sardegna, l’isolamento ha purtroppo provocato legami parentali tali e tanti da esser causa di malattie come l’anemia medietteranea.
Grazie, imparo sempre leggendoti
Ciao
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[…] con senso più esteso, come la linea maschile che legava le tribù. Per non incorrere nell’ incesto, sposando una donna discendente dal medesimo antenato, era abitudine che le giovani venissero date […]
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