Ipazia, simbolo della ragione.

ipazia

“Vi era una donna in Alessandria il cui nome era Ipazia. Costei era figlia di Teone, filosofo in Alessandria, ed era giunta ad un tale culmine di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo; subentrò nella scuola platonica, ripristinata da Plotino, insegnando a chi lo volesse le discipline filosofiche […]. Da ogni parte accorrevano a lei coloro che volevano discutere di filosofia.”.

 

[Storia ecclesiastica VII, 15- Socrate Scolastico]

 

Ipazia nacque nel 370 d.C, circa, ad Alessandria d’ Egitto, ove, spinta dal padre che aveva riconosciuto nella figlia un particolare intelletto, divenne una famosa filosofa neoplatonica, oltre che fisica e astronoma.

 

“Era eloquente e dialettica nel parlare, ponderata e pieno di senso civico nell’ agire, così che tutta la città aveva per lei un’ autentica venerazione e le rendeva omaggio. E i capi politici venuti ad amministrare la polis erano i primi ad andare ad ascoltarla a casa sua […]. Perchè anche se il paganesimo era finito, comunque il nome della filosofia sembrava ancora grande e venerabili a quanti avevano le più importanti cariche politiche.”.

 

[Esichio- tratto da “Tolleranza religiosa in età tardoantico”, di Silvia Ronchey]

 

Secondo Diderot, come da questi scritto nel V volume dell’ Encyclopédie, fu proprio a causa di questo prestigio che Ipazia venne uccisa, come ci testimonia lo stesso Socrate Scolastico.

 

“Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu Interpretato calunniosamente dal popolino che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo.”.

 

[Storia ecclesiastica – Socrate Scolastico]

 

Il vescovo in questione è Cirillo, divenuto in seguito Santo. Egli succedette, nel 412, a Teofilo e, nonostante fosse passato un secolo dall’ editto di Costantinopoli, Cirillo ed il suo episcopato erano in totale contrasto con l’ idea di tolleranza, che doveva intercorrere tra cristiani e pagani, benché questi avessero pieno diritto di culto, come sancito da Costantino nell’ editto.

 

“Un giorno accadde al Vescovo dell’ opposta setta, Cirillo, mentre passava davanti alla casa di Ipazia, di vedere una grande ressa di fronte alle sue porte, insieme di uomini e di cavalli, alcuni entravano, altri uscivano, altri ancora sostavano lì in attesa. Avendo domandato cosa fosse mai quella folla, e il perché di un tale andirivieni intorno a quella casa, si sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva, che la casa era la sua. Saputo ciò Cirillo si sentì mordere l’ anima: fu per questo motivo che organizzò ben presto l’ assassinio di lei, il più empio di tutti gli assassini.”.

 

[Damascio – tratto da “Tolleranza religiosa in età tardoantico”, di Silvia Ronchey]

 

 

L’ invidia di Cirillo fu mossa dal fatto che nella cerchia ristretta di Ipazia vi fosse non solo la classe aristocratica ellenica, ma anche quella governativa. Come sottolinea la studiosa Silvia Ronchey, l’ aristocrazia ed il potere governativo erano legati da un rapporto di tipo iniziatico.
Per Cirillo, unico capo religioso della città, che ambiva a divenire arbitro delle vicende politiche e delle controversie dottrinali, l’ immagine di Ipazia, come capo di quella cerchia di potenti, doveva essere un boccone amaro. Sappiamo, sempre da Socrate Scolastico, che all’ interno di quella cerchia protomassonica si era soliti discutere della politica della città e dei vari affari governativi. Cirillo si sentiva dunque isolato nel suo potere puramente spirituale, e la cosa non si confaceva al suo spirito bramoso di potere.
Lo studioso Christian Lacombrade, dopo aver analizzato gli scritti di Sinesio, che fu allievo di Ipazia, affermò che quanto scritto dal discepolo della donna ci era giunto ” […] con modifiche minori rispetto al seguito” ed era quindi maggiormente attendibile.
Il Professor Nicola Abbagnano evidenziò, in Storia della Filosofia, che Sinesio di Cirene, oltre ad essere stato allievo della neoplatonica Ipazia, fu amico di Ipazia, e tra i due intercorse una lunga corrispondenza, durata anni. Attraverso i frammenti di quelle lettere, giunte sino a noi, è stato possibile scoprire una parte della personalità e del lavoro di Ipazia. La sua vita e il suo studio furono offuscati, agli occhi dei posteri, dalla sua violenta morte.

 

“Alcuni di loro […] spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’ imboscata mentre ritornava a casa. […] la portarono alla Chiesa chiamata Caesarion, dove la spogliarono completamente e poi l’ assassinarono con dei cocci aguzzi. Dopo aver fatto a pezzi il corpo, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e lì li bruciarono.
[…] Questo accadde il mese di Marzo, durante la quaresima, nel quarto anno dell’ episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio e il sesto di Teodosio.”.

 

[Storia ecclesiastica – Socrate Scolastico]

 

Mentre Socrate Scolastico non specificò chi fossero quei loro, che rapirono, torturarono e uccisero Ipazia, Filostorgio sostenne  che gli artefici dell’ omicidio della donna non furono semplicemente dei credenti fanatici, bensì persone appartenenti al clero cristiano:

 

“La donna fu fatta a brandelli per mano di quanti professavano la consustanzialità.”.

 

[Epitome di Fozio su Storia Ecclesiastica di Filostorgio]

 

La morte di Ipazia rimase impunita, nonostante la sua fama ed il suo ruolo sociale nella città. Il perché è riscontrabile  nell’ imperatore in carica, Teodosio II, un bambino guidato nel suo ruolo di governante dalla sorella, sua reggente, Pulcheria.

Ella, denominata l’ Augusta, professava la religione cristiana ed era da sempre ostile nei confronti dei pagani.

Nonostante il lavoro fatto da Oreste, perché i colpevoli pagassero per la morte di Ipazia, il magistrato, incaricato di scrivere una relazione sul linciaggio della donna, insabbiò tutto, corrompendo giudici e testimoni. Così il vescovo Cirillo fu assolto da ogni accusa.

 

“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia […] e che ingannò molte persone con stratagemmi satanici. […] Il governatore della città la onorò esageratamente perchè lei lo aveva sedotto con le sue arti magiche. Il Governatore cessò di frequentare la chiesa.”

 

[Dalla Cronaca del Vescovo cristiano Giovanni]

 

Due secoli dopo la morte di Ipazia, Giovanni Vescovo di Nikiu si schierò apertamente dalla parte di Cirillo, andando a dipingere Ipazia come un’ ammaliatrice, che aveva corrotto la fede cristiana di Oreste con i suoi filtri magici.
L’ immagine della donna venne deturpata e distorta, da filosofa e scienziata, ella fu descritta come una strega, una dominatrice di animi, capace di soggiogare gli uomini con le sue arti magiche.

 

“Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana, che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi.”.

 

[Dalla Cronaca del Vescovo cristiano Giovanni]

 

Il Vescovo di Nikiu andrà poi a descrivere, nella sua Cronaca, Cirillo come colui che, ordinando l’ uccisione di Ipazia, aveva distrutto gli ultimi resti dell’ idolatria.

La versione del Vescovo appare ben più di parte, rispetto a quella di Socrate Scolastico, benché anche questi fosse cristiano. Giovanni di Nikui difese a spada tratta l’ operato di Cirillo, riscrivendo la storia a suo piacimento, e facendo d’ Ipazia una maga capace di incantare il prossimo con la satanica scienza degli astri, e, come ci hanno insegnato le vicende sia di Giordano Bruno che di Galileo, la Chiesa non ha mai avuto ottimi rapporti con l’ astronomia.

Ipazia non fu sicuramente la prima donna ad occupare un posto di rilievo nella società, né la prima filosofa, come vedremo più avanti, o astronoma, però la sua storia appassiona ed è ricordata, dopo sedici secoli, per la bellezza che ella ci ha trasmesso, di donna e di studiosa.

 

“Ipazia rappresenta il simbolo dell’ amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio comincia quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tenta di soffocare la ragione.”.

 

[Prefazione, a cura di Margherita Hack, di Ipazia, di Adriano Petta e Antonino Colavito]

 

 

John Toland, filosofo irlandese, provò un profondo amore per Ipazia, scrivendo di lei una lunga riflessione in bilico tra l’ intelligenza femminile, devota unicamente alla scienza, e la polemica anticlericale.

Secondo Toland “l’ esclusione delle donne dalla cultura è effetto di un’ abitudine inveterata o deriva piuttosto da un progetto esplicito degli uomini.“.
Per lo studioso Cirillo volle far uccidere Ipazia per il legame che questa aveva con Oreste. Infatti, Ipazia, essendo portavoce dell’ aristocrazia di Alessandria, era solita incontrare Oreste, rappresentante del governo centrale dell’ Impero.
Che Ipazia influenzò, notevolmente, la politica interna della città è testimoniato da una lettera che le fu indirizzata dal suo allievo, Sinesio, nella quale questi sosteneva che ” Tu hai sempre avuto potere. Possa tu averlo a lungo e possa tu di questo potere fare buon uso.”.
A fare da sfondo alla vicenda di Ipazia vi era un clima, religioso e governativo, teso. Nel quadro generale dell’ avanzare di due religioni monoteiste, ebraismo e cristianesimo, sempre sul piede di guerra tra loro, appare normale che i rappresentati del governo romano, benché molti di questi fossero cristiani, preferissero dialogare con l’ élite ellenica, chiudendosi in una ristretta cerchia dove non vi erano tensioni religiose, e dove era più semplice il dialogo politico e culturale.
Nel 414, ci riporta Socrate Scolastico, gli Ebrei convinsero il prefetto Oreste ad arrestare e torturare pubblicamente Ierace, agitatore pubblico di Cirillo, in seguito descritto da Giovanni Vescovo di Nikiu come un uomo estremamente saggio e dotto, giusto per modificare ancora un poco la storia. Oltre a ciò un gruppo di ebrei aveva teso un agguato a dei cristiani, uccidendone molti e ferendone altri.
In tutta risposta il popolo cristiano saccheggiò le case dei Giudei,i quali vennero cacciati dalla città.
Questi avvenimenti, spiega la studiosa Silvia Ronchey, furono il preludio del massacro di Ipazia.

 

“Alcuni monaci dei monti di Nitra, il cui spirito ribolliva dai tempi di Teofilo che iniquamente li aveva armati […]. ed erano da allora divenuti zeloti, decisero nel loro fanatismo di combattere in nome di Cirillo.”.

 

[Socrate Scolastico -tratto da “Tolleranza religiosa in età tardoantico”, di Silvia Ronchey]

 

Questi monaci furono assorbiti, per volere di Cirillo, tra i parabalani, corpo di infermieri-barellieri, chierici che divennero la milizia privata del patriarca.

 

Per il Professor Peter Brown il cambiamento dell’ orizzonte comunitario portò ad un rinnovamento dei valori collettivi. Con l’ avvento dell’ evangelizzazione delle masse, secondo lo studioso, vi fu il superamento della scissione interna della società romana, che si basava sulla divisione tra élite, composta dai dotti e dai filosofi, ed il popolo.
Nella nuova polis tardoantica non è più il filosofo ad essere il consigliere ed il garante civile, ma il vescovo.
Per lo studioso, infatti, “Il vescovo cristiano doveva avere il monopolio della parrhesìa.”, e quindi, se la figura del vescovo, nel passaggio tra paganesimo e cristianesimo, doveva inglobale quella del filoso, Cirillo non poteva accettare la presenza di Ipazia, alla quale tutti continuavano a rivolgersi per questioni che il Vescovo credeva di sua legittima competenza.

La figura di Ipazia, dimenticata per molti secoli, tornò alla luce durante il Settecento, quando il potere della Chiesa fu attaccato, nuovamente, dalla ragione.
Prima ancora di Voltaire, e del protestante Wolf, fu , il già citato, John Toland a far tornare in auge la storia di Ipazia, con il suo saggio dal titolo:

 

Ipazia, ovvero la storia di una donna assai bella, assai virtuosa, assai istruita e perfetta sott’ogni riguardo, che venne fatta a pezzi dal Clero di Alessandria, per compiacere l’ Orgoglio, l’ Emulazione a la crudeltà del loro Vescovo comunemente ma immeritatamente chiamato San Cirillo.

 

La storia di Ipazia, sottolinea Silvia Ronchey, divenne molto nota soprattutto durante il Settecento protestante, come testimoniato dalle diverse produzioni letterarie e teatrali anticlericali anglotedesche.

 

Ovviamente, molti furono i detrattori, tanto che nell’ Ottocento si arrivò a scrivere di Ipazia che:

 

“Se Oreste avesse accettato le offerte di riconciliazione, o almeno considerato con buon animo il mutato atteggiamento di San Cirillo, il sanguinoso crimine forse sarebbe stato scongiurato.”.

 

La morte della filosofa descritta come una vendetta, causata dai dissapori tra il prefetto ed il vescovo, spogliandola, nuovamente, della sua dignità, di donna e di scienziata, e rendendola quasi un giocattolo conteso tra due bambini capricciosi.
Ancora una volta si cercava di togliere prestigio alla figura di Ipazia, come se non si volesse ammettere che ella fu uccisa per il suo sapere, dominio prettamente maschile per la chiesa, come poi sarà confermato dalla Santa inquisizione: Le donne streghe, gli uomini eretici.
Lo scrittore e poeta Charles Peguy elogiò la figura di Ipazia, regalandoci un affresco vivido ed intenso:

 

“Ciò che noi amiamo e che onoriamo è questo miracolo di fedeltà […] che un’ anima sia stata così perfettamente in accordo con l’ anima platonica e […] in generale con l’ anima ellenica, […] che in un annientamento totale […], quando tutto il mondo andava discordandosi, […] ella sola sia rimasta in accordo, sino alla morte.”.

 

Ipazia non fu l’ unica filosofa dell’ antichità, tra il Seicento ed il Settecento, prima ad opera di Gilles Ménage e poi di Wolf, furono catalogati frammenti di opere antiche, riguardanti l’ importanza che ebbero queste donne:

 

“Platoniche o neoplatoniche Arria e Gemina, ciniche come Ipparchia, epicuree come Teofila, stoiche come Portia, pitagoriche come Temistoclea, Teano, Mia, Arignote, Damo, Sara, Timica, Lastenia, Abrotelia, Echecrazia, e ancora dialettiche, cirenaiche, megariche, aristoteliche, di ‘setta incerta’ e nobilissime, come Giulia Domna e Aconia Paolina, o come le bizantine Cassia e Anna Comneno: l’ elenco delle philosophae mulieres può proseguire per secoli fino alla […] Irene panipersebasta, figlia di Teodoro Metochita, filosofa del Trecento sotto l’ ultima dinastia del Medioevo greco orientale.”.

 

[Tolleranza religiosa in età tardoantico- Silvia Ronchey]

 

L’ uccisione di Ipazia sembra ricalcare i modelli esemplari delle vergini sacrificali, tanti cari al mondo antico, dal mito di Ifigenia in poi.
Questa morte violenta e disumana, però, sembra quasi oscurare la posizione di spicco, sociale e culturale, che Ipazia ebbe in vita, questo soprattutto per colpa della trasposizione storiografica, dove il ruolo della donna era fissato, da un’ impronta prettamente maschile, o viveva nella morigeratezza dei costumi, assoggettandosi all’ uomo, o moriva, vergine, espiando così le sue colpe.

 

“Quando ti vedo mi prostro davanti a te e alle tue parola
vedendola casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura.”

 

[Pallada, Antologia Palatina, IX, 400]
Ipazia non va, quindi, considerata una martire, nè una pedina nel gioco di potere politico tra Cirillo e Oreste, bensì una donna, colta ed intelligente, uccisa dall’ ignoranza del fanatismo religioso, di chiara impronta misogina.

Ella deve essere ricordata come una studiosa che pagò, con la vita, la sua sete di conoscenza.

 

 

 

16 pensieri su “Ipazia, simbolo della ragione.

      • Hanno la loro logica contorta, ispirata da un misto di monoteismo, politica romana, maschilismo arcaico e qualche altra suggestione pseudo mistica, davvero risibile. I loro padri, tipo Cirillo, erano spesso dei banditi.

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      • Come diceva Carl Marx : La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli.

        Il maschilismo arcaico, poi, è qualcosa di tremendamente radicato. Basti pensare agli insulti rivolti agli uomini, quasi tutti coinvolgono la parte femminile della famiglia. È ironico no? L’uomo può essere insultato , quasi solamente, di riflesso

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      • L’antropologia spesso fornisce risposte a tali quesiti, e spesso dà esempi di comportamenti preistorici e storici diversi. L’indicazione di massima è che lì dove c’è monoteismo c’è discriminazione, ma i Romani erano politeisti fino alla tarda età, e il pater familias era lì a padroneggiare, è da quegli atteggiamenti che probabilmente i primi cristiani hanno mosso la loro misoginia. Pietro ne era un campione, ma anche Plotino ha dato il suo contributo. Esseri orribili…

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      • Ovunque vi sia un Pantheon maschile, e soprattutto maschilista, vi è poco spazio nella società per le donne. Figuriamoci dove vi è un unico dio, e per di più uomo. Il concetto stesso di ‘Dio-padre’ , poi, assoggetta ancora di più la figura femminile all’interno della società.

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  1. Figura molto interessante, la sua! La “conobbi” leggendo un trafiletto all’interno di una rivista di astronomia; successivamente ho acquistato “Ipazia muore”, di Maria Moneti; e “Ipazia”, di Silvia Ronchey.

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  2. un altro pezzo veramente interessante sulla figura di Ipazia, una donna che ha pagato con una morte orribile la sua volontà di conoscere.
    Leggo sempre volentieri i tuoi pezzi equilibrati e ricchi di notizie dove sono le parole e i fatti a parlare da soli.

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